E’ possibile avere, a quattordici anni, una vita davanti ma, alle spalle, la pesantezza di un’altra difficilissima esistenza già vissuta e combattuta, riuscire a raccontarla con il disincanto e la freschezza di un bambino, parlare di prostituzione e insieme di eutanasia, di travestiti e di persone normali?
La risposta è sì per chi legge “La vita davanti” di Romain Gary – edito in Italia da Neri Pozza – un romanzo toccato dalla grazia della scrittura, che racconta Parigi e la Francia degli anni Settanta attraverso gli occhi di Momo, piccolo marocchino figlio di una prostituta e di padre ignoto, affidato alle cure di una ex puttana (ma pure, tragicamente, ebrea sopravvissuta ad Auschwitz) che per campare prende in affido e cresce, appunto, i figli delle donne di strada.
La casa del quartiere Belleville a Parigi, in cui vivono Madame Rosa e Momo, è un crogiuolo di etnie, di esperienze, di passati, di dolori, di speranze, di paure, di personaggi improbabili ma di rara umanità. Momo vive in questo universo strano eppure armonico, in cui la convivenza tra francesi e immigrati, tra arabi ed ebrei, tra bambini e anziani è possibile, è divertente, è drammatica, ma non è mai senza speranza di riuscita.
Un romanzo lirico, da leggere per conoscere un morceau di storia di Parigi, di Belleville, di Francia attraverso gli occhi di un bambino. Non a caso premio Goncourt. Decisamente curiosa anche l’esistenza dell’autore Romain Gary in sè e curiosa pure la vicenda dello pseudonimo con cui venne pubblicato il romanzo la prima volta, per “aggirare” le regole del premio Goncourt, il più prestigioso premio letterario francese, che Romain aveva vinto con un altro libro, un segreto rimasto intatto sino alla sua morte.
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