E’ sabato mattina e Jaffa Street è deserta. Poche persone in giro e alle fermate del tram i monitor sono spenti. Fermiamo un taxista arabo (solo loro possono circolare) che ci lascia alla porta di Jaffa per accorciare un po’ le distanze: sarà comunque una giornata da oltre 20.000 passi alla scoperta di Gerusalemme, meglio risparmiare un po’ di energie. Dal momento che da un lato è festa per gli ebrei e dall’altro non è possibile accedere alla Cupola della Roccia e alla moschea al Aqsa, dedichiamo il nostro tempo alla parte cristiana di questa città in cui convivono le tre grandi religioni monoteistiche.
Attraversiamo il suk ed entriamo nella basilica del Santo sepolcro: la fila per visitare il luogo della crocifissione, unzione, sepoltura e resurrezione di Cristo è lunghissima e decidiamo quindi di percorrere un tratto della Via Dolorosa fino alla porta dei Leoni. Entriamo nella Chiesa di Sant’Anna, proprietà della Repubblica Francese, costruita là dove sorgeva la casa di Anna e Gioacchino, i genitori di Maria. Lungo la strada gruppi di pellegrini intonano litanie e rosari. Noi guardiamo in alto, verso il Monte degli Ulivi: fa caldo e chiediamo a un taxista quanto costa portarci lassù.
Ancora non lo sappiamo, ma è l’inizio di una sorta di amicizia: Adnam è arabo ma è nato qui, ha una laurea in economia all’università di Betlemme e ha fatto studi di informatica in Egitto. Ma in Cisgiordania non c’è lavoro per tutti quindi meglio comprare una macchina e fare il taxista. Se poi come lui ci sai fare, perché hai una cultura, lavori e anche tanto. In più sei libero, “non stai a una scrivania tra quattro mura”.
Adnam ci propone di portarci al Monte degli Ulivi e poi di scendere a tappe fino in città. Accettiamo: Cupola dell’Ascensione, vista della città con il Cimitero ebraico, poi la chiesa del Dominus flevit e il giardino dei Getsemani.
Su mia richiesta andiamo al Monte Sion: al Cimitero cattolico riposa Oscar Schindler, quello della famosa lista del film di Steven Spielberg, tutto in bianco e nero eccetto il capottino rosso della bambina nell’ultimo fotogramma. Sulla sua tomba tantissimi sassi, come sulle tombe degli ebrei. La lista originale con cui ha salvato centinaia di ebrei la vedremo di lì a un paio di giorni, quando andremo allo Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto.
Adnam ci lascia alla porta di Damasco. Lo salutiamo e promettiamo di valutare la sua offerta: una giornata tra Betlemme, il fiume Giordano, Gerico con il Monte delle Tentazioni e la pianta del sicomoro.
Rientriamo nella città vecchia e cerchiamo dove mangiare. Vediamo un po’ per caso l’ingresso dell’Ospizio austriaco: avevo letto che qui si mangia un ottimo strudel e che val la pena di fermarsi anche solo per quello. Decidiamo di stare per pranzo: per me strudel appunto, per Gil cotoletta viennese e Sacher torte. Mangiamo all’interno e sembra di essere in un caffè viennese. Ma anche fuori è piacevole stare, con i tavolini sotto l’ombra delle piante o sui terrazzini affacciati sul suk. Noto la foto di una terrazza panoramica e salgo: la vista spazia sui tetti e spicca la Cupola della Roccia. Dovremo aspettare ancora prima di vederla.
Lasciamo la città vecchia di Gerusalemme passando dalla porta Nuova e dalla zona greco ortodossa. Entriamo in un laboratorio di ceramica armena (molto rinomata a Gerusalemme) e chiacchieriamo un po’ con la proprietaria intenta a dipingere un vassoio. Compro un piccolo melograno rosso stilizzato, credo che lo appenderò in cucina: qui il melograno abbonda, lo spremono per strada in chioschi improvvisati o puoi mangiarlo in grani già pronti comodamente da un bicchierone (se penso a quanto impiego io a sbucciarne uno e a prepararlo, metà per Marty e metà per Gil… probabilmente hanno qualche macchina che toglie la pellicina gialla alla velocità della luce).
Ci incamminiamo verso l’Abraham Hostel nel silenzio dei tram che non ci sono e tra le frotte di ortodossi che scendono al Muro del Pianto. Entriamo nel quartiere ortodosso Mea Shearim, siamo i soli turisti in un mondo di cappelli e abiti neri, gonne lunghe e copricapi a turbante. Qui nessuno può fare nulla: non si guidano le auto, non si usano i cellulari, gli ascensori funzionano in automatico e si cammina apiedi. Ma anche qui i bambini sono pur sempre bambini: giocano a saltare alla corda sulle strade vuote chiuse al traffico. È impossibile parlare con qualcuno: chi fermi sostiene di parlare solo yiddish.
Intanto abbiamo deciso di confermare a Adnam la giornata insieme: gli mando un messaggio, appuntamento domattina alle 9. Usciamo per cena, lo Shabbat sta finendo e i primi ristoranti attorno e nel mercato Mahane Yehuda si affollano.
Le serrande ancora abbassate sono quelle delle altre bancarelle, quelle che rendono celebre questo mercato per la frutta, la verdura, il pesce… Ma è meglio così: in questo modo possiamo ammirare i disegni che le decorano.
Mangiamo in un ristorante, tra i local che hanno terminato lo Shabbat, mentre per noi volge al termine il primo giorno intenso giorno a Gerusalemme.
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